La sentenza n. 912 del Tribunale di Palermo del 24 febbraio 2021 affronta il tema del trattamento dei dati personali effettuato mediante l’uso di sistemi di videosorveglianza; in particolare, si esamina la questione della risarcibilità del danno non patrimoniale per violazione del diritto alla riservatezza.
La vicenda fattuale
Nel mese di novembre 2015 un’associazione costituita dai proprietari di alcune abitazioni private situate in un complesso residenziale ubicato in località Carini (PA), installava tre telecamere di videosorveglianza per tutelarsi dai ripetuti furti messi in atto nella zona.
Alcuni vicini hanno proposto ricorso avverso l’installazione di questo sistema di videosorveglianza, lamentando la circostanza che le telecamere riprendevano la strada d’accesso alla loro abitazione e ciò, a detta delle stesse, avrebbe costituito una violazione della loro riservatezza e della loro sfera personale.
Il Tribunale di Palermo è stato chiamato ad accertare la legittimità dell’installazione del sistema di videosorveglianza e a decidere sulla richiesta di risarcimento danni avanzata dalle ricorrenti.
In particolare, lamentano un danno non patrimoniale, ossia ai sensi della Cassazione Civile, Sezioni Unite dell’11 novembre 2008, n. 26972: “In ragione della ampia accezione del danno non patrimoniale, in presenza del reato è risarcibile non soltanto il danno non patrimoniale conseguente alla lesione di diritti costituzionalmente inviolabili (come avverrà, nel caso del reato di lesioni colpose, ove si configuri danno biologico per la vittima, o nel caso di uccisione o lesione grave di congiunto, determinante la perdita o la compromissione del rapporto parentale), ma anche quello conseguente alla lesione di interessi inerenti la persona non presidiati da siffatti diritti, ma meritevoli di tutela in base all’ordinamento (secondo il criterio dell’ingiustizia ex art. 2043 c.c.), poichè la tipicità, in questo caso, non è determinata soltanto dal rango dell’interesse protetto, ma in ragione della scelta del legislatore di dire risarcibili i danni non patrimoniali cagionati da reato”.
La vicenda si è sviluppata durante il periodo in cui trovava piena applicazione il Codice della Privacy, in quanto non era ancora entrato in vigore il Regolamento generale per la protezione dei dati personali n. 2016/679 (GDPR).
La disciplina in materia
Il Garante per la Protezione dei dati personali, con un provvedimento dell’8 aprile 2010, è intervenuto sulla materia del trattamento dei dati personali effettuato mediante l’uso di sistemi di videosorveglianza, sostituendo quello del 29 aprile 2004. La raccolta, la registrazione, la conservazione e, in generale, l’utilizzo di immagini configura un trattamento dei dati personali ( art. 4, comma 1, lett. b), del D.lgs. n. 196 del 2003 oggi integrato dal Regolamento (UE) 679/2016 relativo alla protezione dei dati delle persone fisiche GDPR).
La necessità di garantire un livello elevato di tutela dei diritti e delle libertà fondamentali rispetto al trattamento dei dati personali, consente, la possibilità di utilizzare sistemi di videosorveglianza, purché ciò non determini un’ingerenza ingiustificata nei diritti e nelle libertà fondamentali degli interessati. Spesso l’installazione di sistemi di videosorveglianza è realizzata da persone fisiche per fini esclusivamente personali e tale “finalità privata” deve essere adeguatamente bilanciata proprio per non creare interferenze illecite con la vita privata dei terzi.
Come già previsto dal Codice della Privacy e ribadito, poi, dal GDPR il trattamento di dati può essere lecitamente effettuato se vi sia il consenso preventivo dell’interessato, oppure se ricorra uno dei presupposti di liceità previsti in alternativa al consenso (artt. 23 e 24 del Codice e artt. 6 e 9 del GDPR).
Nel caso di impiego di strumenti di videosorveglianza la possibilità di acquisire il consenso risulta, in concreto, limitata dalle caratteristiche stesse dei sistemi di rilevazione che rendono pertanto necessario individuare un’idonea alternativa nell’ambito dei requisiti equipollenti del consenso di cui all´art. 24, comma 1, del Codice.
Questa alternativa può essere ravvisata nell’istituto del bilanciamento degli interessi (art. 24, comma 1, lett. g), del D.lgs. 196 del 2003) e questo provvedimento individua i casi in cui la rilevazione delle immagini può avvenire senza consenso.
Conclusione della vicenda fattuale
Il Tribunale statuisce che si è verificata una lesione, sia pur lieve, del diritto alla riservatezza delle ricorrenti, la cui tutela minima nell’ambito civilistico è costituita dalla tutela risarcitoria, ove siano sussistenti – e ne risultino provati – gli elementi costitutivi dell’illecito.
Tuttavia, non qualsiasi tipo di danno è suscettibile di essere risarcito, essendo richiesto che lo stesso superi una soglia di rilevanza tale da renderlo effettivamente e concretamente lesivo della sfera esistenziale del soggetto.
In particolare, le ricorrenti, lamentavano che il sistema di videosorveglianza gli aveva creato uno stato di ansia e stress, in quanto timorose che le immagini prodotte dalle stesse venissero utilizzate per conoscere i loro spostamenti e le loro frequentazioni.
Ma nel caso specifico, le telecamere avevano un raggio di ripresa limitato che non intercettava alcun punto di ingresso delle loro abitazioni e quindi il danno patito dalle sorelle non può considerarsi serio ma piuttosto irrisorio, in quanto non supera quel livello di tollerabilità che è imposto dal vivere sociale, pertanto neanche meritevole di tutela risarcitoria.
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