Con due decreti presidenziale “gemelli” pubblicati lo scorso 30 ottobre (n. 9153 e 9154/2021), la terza sezione del Consiglio di Stato, ha stabilito che l’obbligo di esibire il green pass per andare a lavorare non viola il diritto alla riservatezza dei docenti e non si pone nemmeno in contrasto con il diritto alla salute.
La vicenda
Alcuni insegnanti avevano impugnato i provvedimenti con i quali è stato introdotto l’obbligo della certificazione verde, prevedendo inoltre che al personale scolastico privo di Green pass non sono dovute retribuzione, né altro compenso o emolumento (decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 17 giugno 2021, contenente le disposizioni attuative dell’articolo 9, comma 10, del decreto legge 22 aprile 2021 n. 52, relative al sistema di prevenzione, contenimento e controllo sanitario dell’infezione SARS-CoV-2, mediante l’impiego della certificazione verde COVID-19 (cd. “Green pass”), chiedendone l’integrale sospensione dell’efficacia. In particolare, i ricorrenti lamentavano:
- la lesione del loro diritto alla riservatezza sanitaria,
- il rischio di discriminazioni a loro danno per effetto del loro rifiuto di vaccinarsi
- il pregiudizio di natura economica dovuto alle assenze ingiustificate e alla sospensione dal lavoro prevista dalla legge.
Il TAR Lazio, Roma, giudice di primo grado, respingeva i ricorsi sul presupposto che il diritto del personale scolastico a non essere vaccinato, “ non ha valenza assoluta né può essere inteso come intangibile, avuto presente che deve essere razionalmente correlato e contemperato con gli altri fondamentali, essenziali e poziori interessi pubblici quali quello attinente alla salute pubblica a circoscrivere l’estendersi della pandemia e a quello di assicurare il regolare svolgimento dell’essenziale servizio pubblico della scuola in presenza”
Avverso tale sentenza, i ricorrenti presentavano ricorso davanti al Consiglio di Stato che ha confermato le decisioni del Tar Lazio, che, con ordinanze collegiali, aveva già rigettato i ricorsi in primo grado.
La normativa
I provvedimenti oggetto del ricorso prevedono che i docenti privi della certificazione verde non possano accedere a scuola. In particolare, il testo prevede che il personale che non sia dotato di Green pass sia considerato assente ingiustificato per i primi quattro giorni. A decorrere dal quinto giorno di assenza, scatta la sospensione del personale, della retribuzione, compenso o emolumento, poiché ritenuta, appunto, “assenza ingiustificata”.
Si tratta, peraltro, di provvedimenti reversibili, che decadono automaticamente nel momento in cui il docente torna a scuola munito di Green pass. Si escludono sanzioni disciplinari ritorsive, fermo restando, tuttavia, il ritardo nella progressione di carriera e l’assenza di copertura contributiva previdenziale nei periodi in cui non viene percepita la retribuzione. Infine, la legge esclude la possibilità di esercitare mansioni di altro tipo durante il periodo di assenza ingiustificata.
Le motivazioni del Consiglio di Stato
La terza sezione del Consiglio di Stato ha respinto, in sede monocratica, il ricorso presentato dagli insegnanti contro il ministero dell’Istruzione sull’obbligo di certificato verde. Secondo il Consiglio di Stato:
- la presunta violazione della privacy a danno di chi esibisca per la lettura elettronica il “certificato verde” sono contraddette “sia dall’avvenuto pieno recepimento delle indicazioni del Garante della Privacy in proposito, sia dal dato puramente tecnico e non contestato con argomenti credibili, secondo cui la lettura con app dedicata esclude ogni conservazione o conoscibilità del dato identitario personale, salvo l’accertamento della autenticità del certificato verde, elemento essenziale allorché emergono sempre più frequenti casi di falsificazione e di commercio di certificati verdi falsi”;
- Il Green pass non ha carattere discriminatorio poiché “il lavoratore è abilitato, ove non intenda vaccinarsi, ad ottenere il certificato verde con test differenti quali l’antigenico rapido”;
- Il diritto individuale alla salute quale fondamento del rifiuto di vaccinarsi non può avere valore assoluto, poiché esiste “l’eguale diritto di una collettività di persone – nella specie gli studenti – il cui “diritto a scongiurare possibili contagi” ha prevalenza perché espressione di una componente della “salute pubblica” a fronte del diritto del docente, in ogni caso per nulla negato viste le ammissibili misure alternative al vaccino, e di carattere individuale, per di più da parte di chi ha una responsabilità specifica e rafforzata verso i propri studenti, che costituisce componente essenziale della funzione (se non addirittura missione) di ogni docente;
- Il pregiudizio legato alla sospensione retributiva ha natura prettamente economica, “tale da escludere la irreparabilità e irreversibilità; pregiudizio, del resto, collegato alla infungibilità della funzione docente (non assegnabile a diverse ed improprie mansioni) sottolineata dal primo giudice”;
La decisione è stata presa dal Consiglio in formato monocratico: la camera di consiglio per la discussione collegiale e quindi la decisione definitiva è stata fissata per l’11 di novembre 2021.
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