La Cassazione civile con ordinanza n. 9919 del 28 marzo 2022 ha stabilito che viola la privacy del dipendente il comune che tratta i dati relativi all’accertamento medico effettuato dallo stesso, per ottenere l’invalidità per causa di servizi, senza rispettare il principio di minimizzazione dei dati.
Nella comunicazione tra amministrazioni pubbliche i dati sanitari trasmessi devono essere soltanto quelli “indispensabili” all’attività da compiere.
L’oggetto della sentenza
La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso, ha cassato la sentenza resa nel giudizio avviato da un dipendente contro un comune italiano per i danni derivanti da un illecito trattamento dei suoi dati personali in occasione della presentazione della domanda di pensione per infermità dovuta a causa di servizio.
La deduzione era stata affidata al rilievo che il comune, dopo la sottoposizione del dipendente alla visita medica, aveva trasmesso all’Inps anche il verbale della commissione medica in forma integrale, contenente non solo il giudizio medico legale ma anche il giudizio diagnostico e i dati anamnestici, con specifici riferimenti alle patologie riscontrate (“cirrosi epatica HCV”, “grave disturbo reattivo”, “episodi di disorientamento”, “complessivo deterioramento cognitivo”, “ipoacusia”).
Il risarcimento era stato chiesto in considerazione dell’essere stato, il ricorrente, ripetutamente avvicinato dai colleghi col fine di ottenere assicurazioni circa la non contagiosità dell’affezione epatica, indice del fatto che tutti avevano potuto prendere cognizione dei referti diagnostici.
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso e ha stabilito che il Tribunale di Velletri, in diversa composizione, dovrà rinnovare l’esame e uniformarsi al principio di diritto secondo cui nella comunicazione tra amministrazioni pubbliche i dati sanitari trasmessi devono essere soltanto quelli “indispensabili” all’attività da compiere.
La disciplina in materia
La Suprema Corte ricorda che costituisce illecito trattamento dei dati sensibili: “l’avvenuta comunicazione, benché effettuata in maniera riservata, da un soggetto pubblico a un altro, della copia integrale del verbale relativo all’accertamento sanitario eseguito dalla commissione medica di verifica, in relazione alla richiesta della parte interessata volta a ottenere il riconoscimento della pensione di inabilità, recante, oltre alla necessaria valutazione medico legale circa l’idoneità all’impiego, altri dati personali che, in quanto relativi alla diagnosi, agli esami obbiettivi e agli accertamenti clinici e strumentali svolti, nonché a informazioni anamnestiche, debbono considerarsi irrilevanti ai fini del buon esito del procedimento e, pertanto, da omettere”.
In materia di protezione dei dati personali, integra illecito trattamento dei dati la trasmissione da un ente pubblico a un altro di copia integrale del verbale contenente i risultati dell’accertamento sanitario della commissione medica finalizzata al riconoscimento della pensione d’invalidità e i dati relativi a esami diagnostici, strumentali e accertamenti clinici eseguiti sulla persona perché irrilevanti ai fini dell’esito del procedimento.
L’art. 22 del cod. privacy (applicabile all’epoca) impone difatti ai soggetti pubblici di conformare il trattamento dei dati sensibili secondo modalità volte a prevenire violazioni dei diritti, delle libertà fondamentali e della dignità dell’interessato.
Tali principi sono oggi confermati dal GDPR:
i) principio di minimizzazione dei dati;
ii) principio di liceità, correttezza e trasparenza;
iii) principio di esattezza;
iv) principio di limitazione della conservazione;
v) principio di integrità e riservatezza;
vi) principio di responsabilizzazione.
E in tal guisa per l’appunto stabilisce che gli enti possono trattare solo i dati sensibili “indispensabili per svolgere attività istituzionali che non possono essere adempiute, caso per caso, mediante il trattamento di dati anonimi o di dati personali di natura diversa“(art. 22, d.lgs. n. 196/2003).
Nel caso di specie, il trattamento è avvenuto in violazione del criterio di indispensabilità, perché il comune, dopo aver ricevuto dall’Asl il verbale integrale di visita con tutte le notizie anche anamnestiche relativi alla diagnosi complessivamente resa, aveva poi divulgato quel documento sia all’interno dei suoi uffici, sia all’esterno, trasmettendolo all’istituto previdenziale ancora una volta in forma integrale, senza adottare alcuna misura tesa a oscurarne il contenuto nelle parti non salienti.
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